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Sarà davvero finita?
• di Massimo Barbero
Novara - Empoli: i precedenti
• uno sguardo ai match del passato
mercoledì 05 ottobre 2011 - 08:37
di Paolo Molina

Se si parla del Bologna, squadra contro la quale non giochiamo in campionato dal 1956, mi vengono alla mente diversi “agganci” storici.

Il primo nome è quello di Mirko Balacich, indimenticato, almeno da chi ha quarant’anni o giu’ di li, regista bolognese del Novara di Nicolazzi nella seconda metà degli anni ’80.

Tecnicamente secondo me era davvero forte: probabilmente fu ‘fregato’ dal fisico troppo fragile. Ma era bravo, molto bravo.

Con Novara ebbe un rapporto speciale: sotto la Cupola si sposo’ e per qualche anno rimase dalle nostre parti.

Ora so che Massimo Barbero è sulle sue tracce e sono curioso di sentire come se la passa, oggi che ha 47 anni.

Parlando sempre di Bologna e di bandiere rossoblu’, ricordo Franco Colomba, alla guida tecnica del forte Novara di Armani della stagione 1994-95 in C2. Giunse da Olbia, dove aveva fatto bene, portando con se ben cinque giocatori dalla Sardegna: Comiti, Bigianti, Sottana, Molino e Frattin.

Alla fine della stagione regolare finimmo al terzo posto e ci ritrovammo a giocare col Saronno di Preziosi (e Savoldi in panchina) la semi finale play off. Andata zero a zero a Saronno, ritorno 1 a 1 a Novara. Allora il regolamento era differente e premiava i goal in trasferta. L’errore di Ferretti dal dischetto sancì la fine dell’esperienza novarese per un trainer che comunque di carriera ne ha fatta.

E tutt’oggi allena in serie A.

Ma il nome più importante che lega Novara e Bologna, proprio oggi che i felsinei presentano il nuovo allenatore Pioli, è quello di un altro tecnico: Arpad Weisz.

Immagino che molti di voi non ne abbiano mai  sentito parlare.

Eppure c’è un libro, bellissimo, che ho letto qualche anno fa, a ricordarci questa figura storica. Il titolo è “Dallo scudetto ad Auschwitz”, di Matteo Marani, Aliberti Editore.

Questo giornalista del “Guerin Sportivo” racconta di essere stato ‘fulminato’ da una frase di Enzo Biagi, grande giornalista e tifoso del Bologna, che ricordava: “Si chiamava Weisz, era molto bravo ma anche ebreo e chi sa che fine ha fatto” parlando del Bologna “che tremare il mondo fa” degli anni ’30 per il quale aveva fatto il tifo.

A Bologna questo ebreo ungherese classe 1896, vinse due campionati di serie A, quello del 1936 e quello del 1937.

Nel 1938, con le odiose “Leggi Razziali” emanate dal regime fascista, la sua vita comincio’ a diventare difficile, poi sempre più difficile.

Venne lasciato a piedi dal Bologna senza tante cerimonie (in pratica è come se oggi venisse epurato un tecnico come Allegri, o Conte o Ranieri senza che nessuno osi dire alcunché) in quanto ebreo.

Decise di riparare in Francia e poi in Olanda, dove si adatto’ a guidare i dilettanti del Dordrecht (peraltro con ottimi risultati). Tuttavia, le vicende belliche e la conseguente occupazione nazista dei Paesi Bassi non diedero scampo a Weisz ed alla sua famiglia (moglie e due piccoli) che vennero deportati e trasferiti infine ad Auschwitz.

Le ricerche di Marani ci dicono che Weisz sopravvisse (grazie, immagino, al fisico di uomo di sport) sino al 31 gennaio 1944. Quando morì non aveva ancora 48 anni. In questa triste storia di Weisz (che invito tutti a scoprire nelle pagine del libro), c’è un filo che lega Bologna a Novara. 

Fu infatti proprio dal Novara, al termine del campionato 1934-35 di serie B, che Weisz venne chiamato nel capoluogo emiliano per scrivere le pagine più belle della sua carriera di allenatore. 

Il Novara nel 1935 era una quotata società di serie B e anche grazie al lavoro di Weisz in panca,  si piazzo’ al secondo posto in classifica dietro al Genova (oggi Genoa) che si aggiudico’ la promozione in massima serie con tre punti di vantaggio.

Nella stagione successiva gli azzurri, che avevano conservato l’ossatura di squadra della stagione precedente (e soprattutto il bomber Romano) conquistarono con la Lucchese a pari punti la promozione in serie A ai danni del Livorno (giunto solo un punto più sotto). 

“Si chiamava Arpad Weisz, era molto bravo ma anche ebreo e chi sa che fine ha fatto” aveva detto una volta Biagi. Ma oggi sappiamo tutto, grazie all’appassionato lavoro di Matteo Marani.

Giusto cosi. Giusto ricordare.

Ciao ragazzi, alla prossima !

Paolo Molina

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