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di Massimo Barbero

Se davvero Paolino Faragò dovesse partire durante questo mercato di gennaio sarebbe la prima volta nel decennio targato De Salvo che il Novara si decide a cedere un proprio big a campionato in corso. Gli ultimi trasferimenti “eccellenti” risalgono all’inverno 2006, l’ultimo con Resta presidente, quando avevamo fatto a meno, di colpo, ad Elia e Martinetti. Un anno prima lo stesso Pippo aveva smobilitato la squadra vendendo, tutti assieme, Rubino, Polenghi, Cioffi e Carlet facendoci così correre seri rischi di retrocessione.

Negli anni successivi, con l’attuale proprietà, abbiamo rinunciato in corso d’opera soltanto a Ebagua-Cusaro, Amato, Zagari-Lanteri, Emmanuel Gigliotti-Evola-Cossentino,  Labrin-Giorgi-Meggiorini-Pinardi-Granoche, Alborno-Del Prete-Piovaccari, Bastrini-Mori-Salviato-Comi-Iemmello, Barlocco-Galassi-Libertazzi-Gustavo-Peverelli-Manconi, Beye-Pesce-Signori-Rodriguez. Insomma, con tutto il rispetto, tra giovani in rampa di lancio, qualche “carneade” e gente che aveva palesemente deluso le attese estive o che era meglio piazzare altrove per ragioni ambientali… mai avevamo lasciato per strada elementi di fondamentale importanza per i nostri destini sportivi.

Poco prima del Natale 2015 Mds era stato molto chiaro in diretta tv: “Per i nostri giocatori più forti non mi è arrivata nessuna proposta… o forse non me le riferiscono nemmeno… perché sanno che comunque non ho nessuna intenzione di venderli…”. A fine gennaio, peraltro, il prestito Poli era tornato al Carpi (proprietario del cartellino) e quella partenza aveva comunque alterato, almeno in parte, gli eccellenti equilibri raggiunti in autunno.

Ora la situazione è diversa. Faragò non è incedibile e forse non ci sono più giocatori incedibili nel calcio italiano attuale. Basti pensare che la Juve più ricca ed ambiziosa di sempre ha appena venduto Pogba ed ora forse Evra (ed un anno prima Vidal)… e che a cascata… l’Atalanta non esita a monetizzare la rinuncia ai gioielli lanciati da pochi mesi ed ancora… alcune società di B quali Cesena (Djuric), Brescia (Morosini) e Spal (Beghetto) hanno già piazzato altrove i propri elementi più appetibili a poche ore dalla riapertura delle trattative.

Nel valutare situazioni e uomini, dunque, dobbiamo renderci conto che il calcio è cambiato e probabilmente anche il Novara è differente da come lo immaginavamo solo pochi mesi fa quando sognavamo la “punta cattiva” per andare dritti in A.

Nel commentare, di settimana in settimana, la stagione che stiamo vivendo mediante l’appuntamento fisso dell’editoriale domenicale mi rendo conto di aver commesso anch’io, per circa un paio di mesi, un innegabile errore di prospettiva. Tendevo sempre a paragonare scelte, gioco e risultati con quello che eravamo riusciti a fare nel campionato passato (fino a Natale semplicemente straordinario) ricavandone spesso un confronto impietoso.

Colpa mia, certamente, ma anche di un difetto di comunicazione da parte della società azzurra che non è stata sufficientemente chiara nel farci decifrare una correzione di rotta che è apparsa comprensibile solo a metà novembre (guarda caso a pochi giorni dalla resurrezione di Verona) quando Teti ha spiegato le cose in una approfondita conferenza stampa.

Era sbagliato inseguire ancora il Novara che aveva provato a contendere la serie A al Pescara fino alle porte di giugno…. Quella bella avventura si era conclusa nell’esatto momento in cui Lapadula aveva annientato le ultime speranze di impresa al via della sfida di ritorno. A mente fredda ora risultano più chiare le sofferte parole dette da Baroni nel dopogara all’Adriatico all’inevitabile domanda circa la sua conferma: “Devo parlare con la società…. Arriviamo da una semifinale play off e devo valutare…”.

Era lui il primo a non essere convinto circa un progetto societario che avrebbe potuto comportare la cessione di alcuni dei giocatori che l’avevano portato tanto in alto. Era conscio che in una situazione del genere sarebbe diventato ben presto il capro espiatorio di chi a Novara lo contestava anche con la squadra al terzo posto.

Per questo si è puntato su Boscaglia, su di un tecnico che non ha mai avuto paura a lanciare i giovani, a lavorare con tanti ragazzi alla prima “vera” esperienza in categoria anche in una piazza esigente come Brescia.

Ridimensionamento? Probabilmente nell’immediato sì, ma nelle intenzioni per una programmazione più a lungo termine. Non è molto differente da quello che ha scelto in estate lo Spezia, dopo tanti investimenti non sempre fruttiferi, all’indomani dall’ennesima eliminazione play off. I risultati iniziali hanno confortato maggiormente le strategie degli “aquilotti” rispetto alle nostre, ma al giro di boa abbiamo gli stessi punti della formazione di Di Carlo. A Novarello si erano convinti che era giunto il momento di osare qualcosa, rassicurati dal margine di vantaggio sulla zona salvezza con cui abbiamo chiuso il campionato scorso (sul campo 22 punti in più della quintultima). Dopo l’exploit della serie A abbiamo vissuto anni di pericolosa altalena, nel bene o nel male legati al rendimento dei giocatori più pagati, correndo il rischio di venirne travolti se non fossimo riusciti a risalire subito dalla Lega Pro. Era l’ora di svoltare, di assestarsi in una categoria in cui non rimaniamo per tre campionati di seguito dalla lontana era Tarantola, di costruire una squadra di prospettiva, con contratti alla portata della nostra realtà, basandosi su di uno zoccolo duro di giocatori affidabili per la B, con un contorno di giovani da crescere e di valorizzare (alcuni in rosa ed altri in prestito a giocare altrove) in un lasso di tempo di 3-4 anni. Non si doveva pensare più solo e soltanto all’immediato come quando si scaricava al Vicenza Pinardi… gravandosi però del pluriennale di Baclet… o ci si liberava di Lanteri… prendendosi nel contempo dal Siena tal Parravicini…

Si doveva ragionare in un’ottica pluriennale, a costo di soffrire un po’ all’inizio. L’errore principale è stato quello di non spiegarlo, o almeno di non averlo spiegato in maniera chiara, ai 2-3 mila che amano davvero i colori azzurri come fossero una loro seconda pelle.

Faccio “mea culpa”, dunque, ed ammetto che anch’io dopo Benevento e, soprattutto, dopo Vercelli avrei esonerato Boscaglia senza attendere oltre. Ed invece sarebbe stato un vero e proprio autogol sconfessare la strada presa solo due mesi prima per scegliere, chessò, la granitica certezza di un Bisoli (che pure sta facendo bene a Vicenza). Sarebbe risultato popolare in quel frangente scaricare tutte le responsabilità sul tecnico di Gela, comoda vittima sacrificale di fronte al malcontento generale, ma ciò avrebbe solo rimandato il problema senza avvicinarci alla soluzione.

Oddio… continuo a ritenere il nostro allenatore… inizialmente non immune da responsabilità, in particolare per le scelte operate in corsa nel pomeriggio della sconfitta di Vercelli. Reputo il 4-2-3-1 iniziale troppo scolastico per reggere senza l’imprevedibilità di un Gonzalez in grado di fare da raccordo con la punta centrale, con Faragò e Corazza sempre larghi, quasi ad agire da esterni puri. Il lungo possesso palla nella metàcampo avversaria appariva uno sterile esercizio senza sbocchi, destinato ad esporre i nostri difensori a magre figure di fronte alla velocità delle ripartenze avversarie. Eppoi l’apporto di Boscaglia si stava rilevando carente proprio in quello che sarebbe dovuto essere uno dei suoi principali punti di forza: il rapporto che sa costruire con chi lo circonda, in campo e fuori. Fino a quel momento non aveva saputo gestire la situazione dal punto di vista ambientale, facendo apparire la sua semplice naturalezza quasi una sorta di distaccata spocchia a chi non conosce le sue rilevanti qualità umane.

D’altro canto però bisognava dare il tempo anche al mister di calarsi nella nuova realtà, di conoscere e vagliare una rosa molto rinnovata e certamente indebolita. Nel mancato feeling iniziale con la piazza ha scontato anche l’equivoco iniziale di cui parlavo prima (per il quale ha davvero poche responsabilità). E’ bastata una conferenza stampa “fuori attualità” di Teti (sempre quella di metà novembre) per far sì che sul “muro” i più si scatenassero contro il ds azzurro, dando modo al saggio “Dado” di obiettare subito un concetto del genere: “ma allora la colpa è di chi la squadra l’ha costruita o… di chi l’allena?”

Dal punto di vista tecnico Boscaglia ha effettuato opportune correzioni di rotta sin dalla gara interna con il Latina del 20 settembre. Ha avuto il merito di cambiare presto, eppoi un’altra volta a novembre, senza aspettare che le cose precipitassero. Non bisogna farsi traviare dal risultato, non tutto è cominciato dalla goleada di Verona. A Terni e La Spezia, per esempio, avevamo certamente giocato meglio che non a Perugia dove pure siamo usciti imbattuti. La partita casalinga con la Spal è quasi ingiudicabile per le concomitanti assenze a centrocampo ed in attacco. A settembre, al “Piola” creavamo molte più occasioni da gol di quelle costruite contro Vicenza e Carpi quando invece siamo rientrati a casa con il sorriso per i tre punti in rimonta. I fatti, infine, hanno smentito le voci di una squadra pronta a remare subito contro l’allenatore come giuravano i soliti “sotuttoio” sin dalle prime settimane di campionato. Se davvero Boscaglia non avesse avuto in pugno lo spogliatoio… la situazione sarebbe inevitabilmente precipitata. Forse già nel corso delle partite interne contro Ascoli ed Avellino. E comunque certamente dopo lo 0-1 della Spal e con la trasferta di Verona davanti. Invece nel momento più difficile i nostri giocatori si sono compattati per uscire dalla crisi in cui si erano infilati.

Ripeto, tutto dipende dalle prospettive. Ai primi di novembre dopo lo 0-1 interno con la Spal consideravamo il nostro campionato un fallimento. Invece, nonostante tutto, eravamo comunque fuori dalla zona play out, malgrado l’inevitabile scotto da pagare per le scelte estive e qualche partita obiettivamente girata storta. E’ fondamentale saper leggere nella maniera corretta strategie ed obbiettivi per fare delle valutazioni pertinenti. Nel 2006, per fare un esempio, quella stessa piazza che l’anno prima fischiava Rubino era pronta ad applaudire Bagnara perché si rendeva conto che il buon Eros stava dando il proprio meglio… ed il suo apporto era comunque il massimo che potessimo pretendere in quel particolare momento della nostra storia.

Tornando all’attualità, prendo un giocatore a caso: Di Mariano. Se ci si attendeva da lui quello che ci si aspettava da Lanzafame un anno fa è logico ora essere delusi. Ma l’ex della Roma è un ragazzo del 1996 che prima del settembre scorso la B l’aveva vista solo in tv. Eppure è stato determinante nel risolvere la gara casalinga con l’Avellino che sembrava bloccata. A Cittadella ha segnato un bel gol (purtroppo inutile), a Terni e Chiavari è stato prezioso nel consentirci di passare ad uno schieramento tattico più adatto al contesto che ha creato qualche grattacapo agli avversari. Non so se diventerà un campione, ma vale la pena aspettarlo dato che allo stato non ancora è un titolarissimo… ma solo uno degli elementi di una rosa che ha comunque tante alternative. Con la fretta che mostra sempre qualcuno… Faragò sarebbe stato spedito a giocare in Eccellenza ormai 4 anni fa… e Calderoni bocciato già a metà settembre! I cinesi proprietari dell’Inter sono ora disposti a pagare a peso d’oro quel Gagliardini che pure a La Spezia due anni fa in B in campo ci andava di rado...

Se c’è un aspetto su cui questo Novara può e deve crescere presto è quello caratteriale…. E’ un dazio quasi inevitabile da pagare per tutta una serie di fattori concomitanti: la giovane età di diversi elementi, la partenza di alcuni leader, l’appagamento iniziale dei confermati reduci dal buon campionato scorso, il curriculum di un allenatore più abituato a lottare per vincere che non per salvarsi. Eppure mi illudo che le difficoltà affrontate ci abbiamo forgiato anche sotto quest’aspetto… a Perugia e nel secondo tempo con il Carpi abbiamo dimostrato di saper anche soffrire, quando le circostanze lo richiedono…

Ed usciti dall’equivoco iniziale di cui parlavo in apertura… sono convinto che anche la nostra piazza saprà dare qualcosa in più a questa squadra nel corso del girone di ritorno. Un po’ come è successo nel secondo tempo contro il Carpi quando la gente dagli spalti ha colto che Faragò e compagni stavano dando il massimo per raggiungere un obiettivo non semplice contro un avversario superiore a loro e li ha sostenuti fino alla fine.

Se riusciremo a centrare, tutti assieme, il traguardo di una salvezza il più possibile tranquilla, partendo dalle prospettive di cui in premessa, il domani, da giugno in poi, potrebbe rivelarsi ben più azzurro di quanto non apparisse all’imbocco di un autunno pieno di cattivi pensieri… Forza Novara sempre!!!

Massimo Barbero

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