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martedì 27 marzo 2012 - 19:52
di Massimo Barbero

Domenica 12 giugno 2011, tra i 12 mila che esultavano sugli spalti del “Piola” per il ritorno del Novara in serie A c’era un tifoso particolare. Non tutti erano in grado di riconoscerlo, ma il suo “baffo” ha scritto pagini indelebili della storia azzurra. Stiamo parlando di Flavio Gioria, capitano verso la metà degli anni ottanta. Chi frequentava lo stadio di Viale Kennedy in quegli anni di Casatese, Montebelluna o Pievigina… non ha dimenticato le sue sgroppate sulla fascia. Per le statistiche ha disputato 186 partite di campionato con la maglia del Novara disseminate in sette stagioni. E se fosse dipeso da lui… ne avrebbe giocate dieci volte tanto… perché la sua era una dedizione completa alla causa.  L’abbiamo incontrato domenica prima della gara con il Lecce, mentre saliva sulle tribune con i suoi amici del Club di Arona. Ed è nata l’idea di quest’intervista che vuol essere un piccolo regalo per coloro che hanno sofferto con Flavio nei tempi bui. Era arrivato in azzurro giovanissimo, quasi in punta di piedi: “Mi aveva scovato il compianto Nuvolone. Lui d’estate veniva spesso dalle mie parti, a Nebbiuno e mi aveva portato a Novara quando giocavo nel Verbania, in promozione. Ero stato ingaggiato per fare parte della formazione Primavera ed invece scesi in campo quasi subito in C… Ero “scandaloso” dal punto di vista tecnico, ma mister Bolchi mi utilizzava per mettere la museruola al regista avversario…”.

Forse sarebbe stata subito serie B se non ci fosse stata la penalizzazione per il “caso Scandroglio”, dopo un famigerato Lecco-Novara: “Se non ci avessero tolto quei sei punti saremmo andati su diretti, senza problemi… Ed invece mi convocarono persino a Firenze… Volevano ascoltarmi perché Troilo disse che aveva parlato con Scandroglio su una panchina dove ero seduto anch’io. All’epoca avevo 19 anni, non sapevo nemmeno dove fossi girato…”. 

Era un ambiente afflitto dalla presunzione di credere che il Novara in C era solo di passaggio. Con tutte le conseguenze  del caso: “affrontavamo trasferte a Vercelli come fossero delle amichevoli… E la gente, in casa, non ci perdonava i risultati negativi. Il paragone con i giocatori che ci avevano preceduto era impietoso e ci condizionava molto”. 

Gioria ha cambiato diversi allenatori nei suoi sette campionati in azzurro: “Ricordo con grande affetto Peppino Molina. Era un mister d’altri tempi, straordinario dal punto di vista umano. Magari dal punto di vista tattico non era proprio all’avanguardia, ma ci faceva divertire tanto… Un po’ come Ezio Galbiati che non aveva una impeccabile confidenza con l’italiano e nelle interviste talvolta faticava. Antonio Brustia aveva redatto una specie di “libricino” con le sue frasi famose… Galbiati però mi ha fatto il più bel complimento che abbia mai ricevuto in carriera: “Gioria è un giocatore che quando c’è non te ne accorgi, ma appena manca capisci quanto ti sappia dare abitualmente…” .

Con Flavio c’erano anche compagni eccezionali: “Ho avuto la fortuna di giocare con lo zoccolo duro… Veschetti, Giannini, Vivian… per me erano delle vere e proprie leggende viventi… Una sorta di Zoff-Gentile-Cabrini in maglia azzurra…”. 

Il più grande rammarico resta la C1 sfumata: “Ci abbiamo provato tante volte. Penso, ad esempio, all’anno in cui era arrivato il ministro Nicolazzi ed io ero il capitano… Rimontammo due gol alla Pro Patria in nove contro undici. Quel giorno pensavo sarebbe stata la partita della svolta. Ed invece arrivarono sconfitte inspiegabili. Come quella con l’Ospitaletto nella domenica dell’accendino che mise kappao Moro…”. 

Gioria non era esattamente un centrocampista con il vizio del gol, ma qualche rete (3 in campionato) l’ha messa a segno: “E devi aggiungere una doppietta all’Omegna in Coppa Italia. Segnai il secondo gol da metà campo… Poi ricordo la mia marcatura che decise un Novara-Pordenone. Conservo ancora le foto a casa”. 

Amarissimo fu il suo distacco dalla maglia azzurra: “Maroso non mi poteva proprio vedere. Glielo dissi apertamente: “forse è meglio che io vada altrove”. Ma aspettai fino all’ultimo giorno del mercato di riparazione prima di accettare un’altra squadra. Speravo ci sarebbe stato ancora spazio per me, nel caso in cui il mister fosse stato esonerato. Volevo eguagliare il primato di Udovicich… Ed invece Maroso fu allontanato la domenica dopo la mia cessione al Ravenna”.  

Dopo l’esperienza in giallorosso ha ritrovato Serami nel Varese di Soldo, che conquistò la salvezza proprio grazie ad uno 0-0 a Novara, sotto la pioggia. Poi qualche anno tra i dilettanti, prima di appendere le scarpe al chiodo: “Ho guidato i ragazzini nel mio paese, ma non avevo il carattere per fare l’allenatore”. 

E’ rimasta la grande passione per quel calcio che gli ha dato tanto: “Ho sempre seguito il Novara, malgrado la distanza. E la sera della promozione in A mi veniva da piangere. Perché pensavo a tutti coloro che stavano esultando da lassù: Tarantola, Vivian ed ancora tanti altri… Eravamo in 15 mila al “Piola”, ma molta gente stava tifando dal cielo…”. 

Ed ancora lo fa, per seguire la squadra di Tesser impegnata in una grande rincorsa: “Credo che lo “stacco” abbia fatto bene al mister che rischiava di finire nel vortice delle critiche per colpe non sue. Ora spero si riparta da lui l’anno prossimo, in qualunque caso”. 

D
ei saluti finali emerge tutta la simpatica semplicità di Flavio Gioria: “Chi può ricordarsi ancora di me? Forse i tifosi tra i 40 ed i 70 anni… Li saluto tutti con estrema simpatia… e… ci vediamo presto ancora allo stadio!”

Massimo Barbero

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