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Storie di ex... Simone Venturi
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martedė 05 marzo 2013 - 18:20
Venturi in campo era l’emblema della voglia di vincere, sempre e comunque. Per questo la gente l’apprezzava e non gli faceva pesare nemmeno eventuali errori...

Chi ha vissuto dagli spalti le emozioni della promozione in C1 del 1996 (la prima dopo un digiuno di 26 anni…) non ha dimenticato quel coro “Simoneee Venturiii aleee oooo” che si alzava puntualmente dalla Curva Nord quando il biondo difensore toscano partiva in uno di quei raid sulla fascia che entusiasmavano il pubblico. Venturi in campo era l’emblema della voglia di vincere, sempre e comunque. Per questo la gente l’apprezzava e non gli faceva pesare nemmeno eventuali errori.
Venturi è tornato a Novarello due settimane fa, da allenatore della Primavera del Livorno. Compirà  42 anni il prossimo 3 maggio. Ha smesso di giocare da poche stagioni, dopo una parentesi poco felice, per ragioni extracalcistiche, nel Montevarchi.
Il primo a valorizzarlo come terzino di spinta fu un certo… Sergio Borgo: “E’ vero, fu lui a portarmi a Pistoia quando militavo nelle giovanili del Pisa. Dapprima in prestito, poi riscattando il mio cartellino. Diciamo che è stato il primo direttore sportivo a credere davvero in me…”.
A Novara ha giocato per due stagioni, proprio le due annate dell’esaltante era Armani: “Conservo solo ottimi ricordi, specialmente per l’ambiente che ho trovato in città e per il calore del pubblico e dei tifosi davvero innamorati della squadra di calcio”. 
La sua avventura in azzurro ha avuto però anche dei momenti bui: “Il primo campionato l’ho giocato mentre svolgevo il servizio militare a Bologna. Mi allenavo lontano dai compagni durante quasi tutta la settimana ed alla domenica non rendevo al meglio. Ad un certo punto Colomba mi ha escluso dalla formazione titolare. Me lo meritavo…”.
L’anno dopo però si è rifatto con gli interessi: “Soprattutto perché abbiamo centrato una promozione che la gente aspettava da tanto tempo. E’ come se avessimo sconfitto un sortilegio. E’ stato bellissimo leggere negli occhi dei tifosi tanta gioia. Mi ricordo l’emozione di giocare in uno stadio pieno contro l’Alzano. E la grande festa dopo la conquista matematica della C1”.
L’unico gol in maglia azzurra l’ha messo a segno al “Chinetti” di Solbiate Arno. Una rete cercata e voluta, a pochi minuti dalla fine, sufficiente per scongiurare la seconda sconfitta stagionale (il match finì 2-2) ma non per evitare l’esonero di “Ciapina” Ferrario: “Sapevamo che quella era un po’ l’ultima spiaggia per il nostro allenatore – rivela Simone – Ovviamente siamo scesi in campo per vincere, ma eravamo una squadra in difficoltà dal punto di vista atletico che non riusciva ad esprimersi secondo il proprio potenziale. Il cambio di guida tecnica fu determinante per i diversi ritmi di allenamento e per gli accorgimenti di natura tattica adottati. Il rendimento di diversi singoli mutò immediatamente e la promozione alla fine fu meritata”.
Al di là delle incertezze invernali, pareva davvero un Novara pieno di giocatori con il carattere ed il carisma da vincenti: “Non eravamo una squadra vecchia, ma in effetti avevamo già una certa esperienza. Quasi tutti avevamo già vinto dei campionati in carriera. Eppoi eravamo un vero e proprio gruppo. Ogni sera ci ritrovavamo per mangiare assieme. Gli sposati, a turno, invitavano a casa gli “scapoloni” come me… E’ nata un’amicizia che è proseguita anche nel dopo calcio. Qualche anno fa ho ritrovato Simone Inzaghi a Coverciano… Era come se non ci fossimo mai separati”.
L’allungo decisivo giunse a due giornate dalla fine. In quel memorabile 5 maggio a Tempio Pausania: “Per il freddo e per la pioggia… pareva di stare in Siberia… Il campo era sperduto. Fu una gara difficile da gestire, soprattutto dal punto di vista mentale. Le partite in Sardegna erano sempre delle vere e proprie battaglie che cominciavano all’uscita dagli spogliatoi. E vincere non era mai facile…”.
L’epopea di quel Novara finì molto prima del previsto per le disavventure societarie che caratterizzarono la torrida estate 1996. E rimasero i rimpianti per quel che sarebbe potuto essere: “Con quella squadra si poteva pensare ad un salto in B da programmare in un paio di stagioni. C’erano elementi molto validi. Io però la crisi l’ho seguita solo a distanza, dal racconto dei compagni al telefono. Già a giugno avevo accettato la proposta del Ravenna per un campionato di B con tanti giovani. Alla fine non fu una scelta felice, ma in quel momento lo sembrava”.
Resta il ricordo di un grande legame con il presidentissimo Armani: “Sono ancora molto affezionato a  lui. Seguiva con tanto entusiasmo il nostro campionato. Quando mi sono sposato, diversi anni dopo aver lasciato Novara, mi ha fatto un bel regalo. Al di là del valore economico del dono, mi ha colpito il gesto che non mi aspettavo perché non ci sentivamo da un po’… E’ davvero una grande persona”.
Nemmeno nella (breve) era Armani il Novara Calcio però era dotato delle strutture attuali: “Novarello mi porta bene – rivela Venturi – L’anno scorso ho vinto con gli Allievi e quest’anno ho pareggiato con la Primavera. Battute a parte, quando ho visto per la prima volta un centro simile sono rimasto davvero a bocca aperta. E’ degno di un “top club” come si usa dire adesso. E’ sicuramente una grande base per investire adeguatamente sul settore giovanile”.
Da allenatore e da ex Venturi sta seguendo con grande attenzione anche le vicende azzurre nell’attuale campionato di B: “Oltretutto ho giocato ad Arezzo con “Ciccio” Aglietti. E conosco molto bene Bardi anche se non ho mai avuto la fortuna di allenarlo. Credo che il Novara abbia le potenzialità per pensare ad un obiettivo diverso da una semplice salvezza, ma è giusto mantenere i piedi per terra per poi mantenere la porta aperta per cercare qualcosa di più, senza assilli particolari”.
Ritroveremo Simone la sera del 16 aprile quando il Novara giocherà al “Picchi” di Livorno: “Per intanto saluto tutti i tifosi novaresi, nessuno escluso. Li ringrazio per il calore che mi hanno dato quando giocavo da voi. Quel campionato vinto rimarrà sempre tra i miei ricordi più belli perché ho capito di aver regalato una grande gioia a chi aspettava quel trionfo da tanto. Un pezzo del mio cuore è rimasto azzurro…”.


Massimo Barbero

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